lunedì 12 novembre 2007

Viaggio nella Mongolia cinese

La storia che desidero raccontarvi oggi riguarda un mio compleanno che fu duro sotto il profilo turistico, ma che mi indusse a riflessioni importanti, credo.

Sono stato tre volte in Cina, in quattro città lontanissime tra loro. Quella volta mi capitò di andare a Baotou, nella Mongolia cinese dove il bravissimo Gianni Amelio ha ambientato la conclusione del suo apprezzatissimo film “La stella che non c’è”.

Giunsi a Baotou la sera tardissimo, intorno alle 23.30. All’aeroporto di Pechino mi ero accorto che ero stato colpito da una fortissima congiuntivite, nonché da febbre abbastanza alta e da problemi allo stomaco: stavo partendo per un luogo dove non esistono farmacie occidentali, ma ci voleva molto di più per fermarmi e decisi – come ho fatto in altre occasioni – di praticare per alcuni giorni il digiuno che considero un’ottima medicina per molti malesseri. Mi procurai, dunque, solo una piccola scorta di acqua Evian dato che, allora, in Cina, si trovava quasi esclusivamente acqua potabilizzata che era stata, probabilmente, all’origine di una parte dei miei malesseri.

Giunsi così a Baotou e feci bene a portarmi dall’Italia il nome dell’hotel scritto in caratteri cinesi. Infatti i tassisti di lì non conoscevano neanche i caratteri occidentali e perfino con la pagina stampata in cinese ebbi difficoltà a far capire loro dove ero diretto.

Il taxi era un’auto vecchissima (non so di che marca perché non mi intendo assolutamente di auto), ridotta molto male, soprattutto senza ammortizzatori e così intrisa di fumo da dare la nausea. Il mio arrivo sia a Pechino che a Baotou coincise con una forte invasione di cavallette che fu annunciata anche nei telegiornali italiani. Per noi occidentali si tratta di qualcosa di abbastanza sgradevole: vedere saltare dal suolo centinaia di questi insetti che ti arrivano dappertutto, anche in faccia. I locali, invece, sorridevano della cosa e qualcuno consumava il pasto direttamente sul posto, altri organizzavano raccolte in grosse buste di plastica e portavano a casa il bottino. Sia detto per inciso che per me la cosa non era affatto biasimevole e ricordavo, allora, come sempre, che la civiltà cinese è molto più antica della nostra e il paternalismo occidentale è, a mio avviso, determinato soprattutto da ignoranza e pregiudizio, come ha voluto dire anche Gianni Amelio nel film citato.

L’autista del taxi si avviò a velocità sostenuta, piuttosto eccessiva, per strade buie e deserte. Immaginavo che il centro abitato e l’hotel dovessero essere a pochi minuti dall’aeroporto, ma pur superando quella che, secondo le mie aspettative, avrebbe dovuto essere Baotou città, proseguimmo a tutta velocità lungo una strada sempre più buia, disabitata e senza case nelle vicinanze. Dopo 45 minuti di questa corsa senza spiegazioni, confesso che ebbi un po’ di paura. Fortunatamente, però, dopo altri dieci minuti finalmente giungemmo a questa specie di cattedrale nel deserto che, come seppi in seguito, era stata terminata solo pochi giorni prima.

Alla reception nessuno parlava inglese, né i portieri né il direttore che era venuto apposta per accogliermi.

Avevo bisogno di un paio di forbicine e chiesi: “Please, I need scissors”. Silenzio assoluto e un po’ di imbarazzo. Pensai, allora, di produrmi in una imitazione e sceneggiai un taglio di capelli, un taglio di foglio di carta e molte cose ancora, ma gli sguardi restavano interrogativi.

Alla fine provai a imitare il taglio delle unghie e finalmente ci fu un piccolo grido collettivo e unisono: mi portarono un tagliaunghie.

A questo punto avevo bisogno di sapere se vi era un ristorante nell’hotel e soprattutto se fosse ancora aperto (non ero io ad avere appetito e comunque avevo optato per il digiuno che praticai per quattro giorni rimettendomi bene in salute). Considerai che sarebbe stato arduo spiegare tutto ciò senza parlare una lingua comune e decisi di cercare il ristorante discendendo il grattacielo dall’ultimo piano verso il basso.

Verso il 20° piano trovai l’ingresso di un locale (discoteca con musica assordante e piscina holliwoodiana). I mongoli sono, generalmente, molto belli e soprattutto alti, molto alti. Fuori di questo locale vi erano bellissime ragazze con minigonne audaci, probabilmente accompagnatrici o qualcosa del genere, e dei giganti con auricolare che avevano tutta l’aria di essere dei “buttafuori”. Rivolgendomi a una delle ragazze, allora, tentai di imitare il gesto del mangiare costruendo un cono con le dita della mano e infilandolo in bocca mentre guardavo la ragazza e troppo tardi per capire, nel contempo, che non avrei dovuto farlo. Un paio di “gorilla” si mossero abbastanza minacciosamente verso di me e io guadagnai in pochi attimi i piani inferiori.

Anche la notte fu abbastanza dura perché la puzza tremenda di vernice fresca alle pareti richiedeva la finestra aperta, ma da questa entravano a decine le cavallette. Insomma, l’inizio della mia trasferta fu piuttosto pesante.

Il giorno dopo passai davanti alla reception e una ragazza con aria gentile e storpiando le parole azzardò: “You breast day?” (Tu giorno seno, mammella?). “Sorry, I don’t understand”, ma poi capii che, avendo lei il mio passaporto, mi stava chiedendo se fosse il mio compleanno. “Oh, yes, thank you very much”. Risalii in camera e una mezz’ora dopo bussarono alla porta. Erano una mezza dozzina tra camerieri e addetti alla reception. Molto sorridenti mi consegnarono una torta, dello spumante locale e un biglietto su cui c’erano ancora tracce di sudore. Nello scritto si capiva, un po’ a fatica, che mi rinnovavano gli auguri e si dicevano onorati della mia presenza (ma loro ignoravano se io fossi uno spacciatore di droga o un commerciante di valvole idrauliche).

La sera vollero addirittura strafare e nella sala ristorante dell’ultimo piano, mi avevano riservato un tavolo proprio davanti all’orchestrina. Compresi, più dal contesto generale che da altro, che mi stavano chiedendo la mia canzone preferita. Pensai che li avrei messi in seria difficoltà a chiedere loro qualche brano di Charles Azenavour o del grande Frank e ritenni che “’O sole mio” fosse un brano assolutamente universale, ma mi accorsi subito che così non era. Tentai, allora, con “New York, New York” ed ebbi la stessa sorte.

Fortunatamente quei ragazzi non si persero d’animo e mi sembrò di capire che volevano suonare un loro pezzo che era meglio di quanto avevo appena chiesto.

Così fecero.

Questo durissimo viaggio,mi insegnò, sul campo e non in teoria, che il viaggio è sempre meraviglioso perché corrisponde all’archetipo di quel viaggio più importante che ciascuno di noi fa nel brevissimo attraversamento di questo universo, un viaggio che dovrebbe farci crescere soprattutto vedendo il bello che c’è nelle cose e nel prossimo.

Questi giovani non conoscevano le lingue, il turismo, il computer e la cultura straniera, ma erano pieni di umanità e sospinti da forti sentimenti di ospitalità, con, alle proprie spalle, una cultura di diversi millenni più antica della nostra.

Ciro Discepolo

www.solarreturns.com

www.cirodiscepolo.it

3 Commenti:

Blogger Marco Celada ha detto...

Leggendo il racconto di Ciro, mi viene in mente la mia RS dell'ottobre 2000 e che feci a Rodrigues (Mauritius); all'hotel si accorsero, registrando il documento, che il giorno seguente all'arrivo era il mio compleanno;
alla sera dopo cena ci fu un festicciola con musica tra i pochi ospiti dell'hotel e ad un certo momento si spensero le luci e con la classica musica di sottofondo mi consegnarono un torta con le candeline; tutti insieme festeggiamo il mio compleanno.

ciao Marco

12 novembre 2007 21.12  
Blogger Marco Celada ha detto...

RS 1998 destinazione Lampedusa; proprio il giorno del mio compleanno per lavoro dovevo essere a Phoenix (Arizona) per un meeting di 15 giorni; ovviamente arrivai con 2 giorni di ritardo fornendo l'esatta motivazione all’Azienda; pertanto con il mio bagaglio arrivai da Milano a Lampedusa e all'hotel chiesi la mattina seguente alle 5, di essere accompagnato all'aeroporto in quanto avevo il volo per New York; alla sera mentre cenando il proprietario mi disse: "mi scusi, ma lei viene da Milano qui a Lampedusa e domani mattina vola per gli Usa? tutto bene ?"; ovviamente dovetti giustificare la pazzia e poichè avevo il computer portatile siamo stati fino alle 2 di notte a parlare di astrologia e a fare RS per tutti !!!

ciao Marco

12 novembre 2007 21.27  
Blogger luigi ha detto...

A me successe la stessa cosa di Marco nel 1997 alle Maldive.
A cena terminata si spensero le luci della sala e comparve una bella torta mentre gli altri turisti intonarono:
"Happy birthday to you".
Quasi mi commossi...

Luigi

12 novembre 2007 23.24  

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