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Ciro Discepolo | Personaggi | Victor Hugo

 

Victor Hugo
di Ciro Discepolo


A quattordici anni scrisse in un quaderno: “Voglio essere Chateaubriand o nulla”. Ma fu molto di più. Era un gigante e la sua produzione letteraria e poetica spicca per quantità e quali­tà. Flaubert disse di lui: “È una forza della natura. Ci ha insegnato a scrivere a tutti. Chi più chi meno, siamo tutti suoi scolari”. La grandissima produzione, oltre quarantacinque grossi vo­lumi, testimonia l’enorme lavoro di questo grande “grafomane” che scriveva dalle sei di mattina (d’estate dalle cinque) fino a notte tarda e, anche a letto, prima di chiudere gli occhi, trac­ciava  gli ultimi appunti su un foglio, la frase finale per un’ode o un discorso. Trovava il tempo per scrivere lettere a tutti: a madame  Juliette Drouet, la donna che amò di più,  scri­veva ogni mattina, pur vedendola ogni pomeriggio, e ricevette da lei 25.000 lettere in cinquant’anni, quasi 500 all’anno. Aveva uno stomaco d’acciaio e mangiava, anzi divorava, grandissime quantità di cibo, esprimendo la propria sensualità anche come amatore “...la prima notte di matrimonio, aveva 20 anni, trionfò nove volte sulla sua tenera vittima”. Ciò va letto senz’altro in rapporto all’accoppiata Scorpione (Ascendente)-Pesci (Sole, con­giunto a Venere e a Plutone). Amò moltissime donne, per tutta la vita: cameriere, attricette, poetesse, figlie e nipoti di amici scrittori. Non risparmiò nessuna. A 75 anni suonati non  rispettò  neanche Sarah Bernhardt che uscendo malconcia dalla sua abita­zione disse a un’amica che l’interrogava: “Ho appena ricevuta l’unghiata del leone!”.  Qualche anno prima non fece onore nean­che all’amicizia con il collega Teofilo Gautier e sedusse sua figlia diciannovenne, gio­vane sposa di Catullo Mendés. Era, come si diceva, un uomo dagli appetiti fortissimi e la sua libido si espresse principalmente in tre direzioni: scrivere (Marte in terza Casa), mangiare e fare  l’amore, a dismisura (valori Pesci-Scorpione di fortissima sensualità ed eroti­smo).                  

 

I suoi libri più belli furono anche autobiografici, in parte, ed uno in particolare i lettori dovrebbero leggere o rileggere, forse il più bel romanzo di tutta la letteratura mondiale di tutti i tempi: “I miserabili”. Uno strepitoso successo letterario che lo rese milionario, negli ultimi anni di vita, e che racchiude tutto l’universo pescino: dolore, passioni, prove, croci e sacrifici, ospedali, miseria, abiezione, redenzione, fede, bontà, umanità. C’è tutto in quelle circa 1400 pagine che ogn’uno dovrebbe conoscere, tutte le valenze del segno dei Pesci: dalle fogne di Parigi, ai grossi topi che assalivano gli sfortunati visitatori delle stesse, alle terribili galere del diciannovesimo secolo, all’evangelica e commovente bontà del vescovo di Myriel, alla redenzione del galeotto Jean Valjean, alla sua eterna persecuzione da parte dello scorpionico poliziot­to Javert che si ucciderà in seguito al suo unico atto di bontà seguito ad una vita di odio e di feroce ostilità verso i misera­bili. Non occorre essere credenti per commuoversi leggendo le pagine di quello che potremmo definire il più grande capolavo­ro romanzesco di tutti i tempi. Personaggi come il sindaco Made­leine, angelo dei poveri e dei derelitti, o i feroci Ternadier o  il generoso monello parigino Gavroche, si scolpiscono nel nostro cuore per segnarvi, indelebilmente, delle emozioni che sono superiori alla retorica che pure un cinico lettore potrebbe scorgere in queste pagine, se decidesse di leggerle con premedi­tata freddezza. Un partico­lare interessante della storia di questo libro fu che la sua uscita, molto pubblicizzata  in Ameri­ca e Francia, dove il testo fu venduto in contemporanea il 15 maggio 1862, fu assai ritardata rispetto al previsto ed ai gior­nalisti che tempestavano l’editore di domande, questi rispose che la colpa era tutta del fatto che i tipografi, componendo le pagine, s’era­no messi a leggere il romanzo e commuovendosi bada­vano di più a seguire il racconto che a procedere con il lavoro. Davanti alla libreria di New York dove fu messo in vendita in contemporanea a Parigi, come già detto, sin dalle sei di mattina di quel giorno si formò una lunghissima fila di persone che presero immediata­mente d’assalto le prime 40.000 copie messe in vendita! Questo grande successo arricchì Victor Hugo in vec­chiaia, dopo una vita agiata e talvol­ta assai povera, come ci dice la Luna in Sagitta­rio nella seconda Casa, in cattivi aspetti col Medio Cielo e con Mercurio. Egli fu, infatti, al centro di continui alti e bassi finanziari ed il suo rapporto col denaro risentì anch’esso del­l’influenza selenica: alternava periodi di grande avarizia a giorni di altrettanta generosità verso i poveri e soprattutto verso gli esiliati poli­tici come lui.

 

La patria e la casa ebbero una grandissima importanza nella sua vita. Fu dapprima monarchico convinto e appoggiò il suo realismo con la penna e con le azioni, ma poi cambiò completamente idee e divenne repubblicano, cosa che gli costò un lunghissimo esilio di 19 anni, a partire dal 1851,  dopo i fatti sconvolgenti del ‘48. E “I miserabili” sono, in  un certo senso, figli del ‘48 perché nacquero dalla necessità che il grande Poe­ta-Scrittore avvertì di condannare un aspetto disumano di quegli anni: la società negava la redenzione dei galeotti e li voleva perduti a vita, sepolti per l’umanità,  confinati per sempre in un girone infernale che in quegli anni erano le galere di stato.  

I valori di quarta Casa si espressero altrettanto potentemente per il nostro che adorava passare giornate, mesi e anni interi “sepolto” nella sua casa, nella sua stanza, a scrivere, come una macchina alimentata a carbone il cui braccio-stantuffo non aveva mai pausa alcuna: non pensava mai più di cinque minuti ai soggetti dei suoi romanzi e sfornava, di getto, decine e decine di pagine al giorno.

 

Cambiò molti domicili, nel suo errare per l’Europa, scacciato da vari Paesi e, pur morendo milionario, non ebbe mai una casa propria. Il dolore più grande della sua vita, che lo portò vicino al suicidio, fu quando scoprì che la giovane moglie Adele Foucher lo tradiva con uno dei suoi migliori amici. Successivamente avrebbe scritto: “Tutti i grandi uomini, Bonaparte compreso, furono ingannati ed io pure”. Lui cominciò a tradire la moglie quando gli fu vietato di dormire con lei per mettere un freno alle troppe gravidanze che le procurava. Era, come si è detto, un vulcano in eruzione, in amore, e ciò lo si deve certamente all’insieme dei valori Pesci-Scorpione con l’aggiunta della dominante Marte.

 

La sua grande bontà, di ispirazione religiosa, gli veniva certamente dalla triplice congiunzione Sole-Venere-Plutone, nei Pesci, in quarta Casa. Invitava, una volta alla settimana, i bambini poveri a pranzo e faceva anche in modo di perdere al gioco per favorire i poeti sfortunati, pur essendo parecchio avaro e tenendo sempre uno scrupoloso registro delle entrate e delle uscite (I Pesci sono disordinatissimi in mille cose e assai ordinati in altre: costellano sempre la parola ordine, per sé stessa o per l’opposto di sé stessa). La sua appartenenza al dodicesimo segno dello zodiaco è da intercettare, anche, a nostro avviso, nella sua grande, grandissima, passione per l’oceano. Sapeva tutto sul mare e ne “I lavoratori del mare” c’è un trattato scientifico completo sulla fauna, sulla flora e sui fenomeni fisici legati ad esso. Ma egli fu enciclopedico in tutto: la sua cultura era smisurata. Di qualunque cosa scriveva sapeva tutto. Arturo Lancellotti che ha scritto una completissima biografia sul personaggio, mette in risalto come egli, pur non essendo architetto, scrisse un “trattato” di architettura nel romanzo “Nostra Signora di Parigi” (valori Cancro) e uno di sociologia ne “I miserabili” (valori Pesci) nonché uno di storia ne “L’uomo che ride”. Talvolta era esageratamente prolisso e succedeva che, se il personaggio del suo romanzo si apprestava ad entrare nelle fogne di Parigi, egli faceva una parentesi di decine e decine di pagine narrando la storia delle stesse, la corrispondente struttura suburbana, i progetti municipali futuri che la riguardavano, eccetera.

 

Ma ogni pagina della sua prosa e della sua poesia furono un capolavoro. Il già citato Lancellotti ha scritto di lui: “Elegia­co, epico, drammatico, satirico, non ha una filosofia  propria ma ha portato nell’arte le più alte preoccupazioni della coscienza”. Pailleron gli dedicò un suo dramma: “A Victor Hugo, oceano”. Quest’uomo che non prese mai la laurea fu paragonato, da Car­ducci, a Dante, Eschilo, Milton... Era stato un bambino prodi­gio: a soli nove anni era già in grado di leggere e commentare Tacito. Ancora ragazzo pubblicò le sue prime opere e vinse nume­rosi premi letterari. Appassionava talmente i suoi lettori che uno di que­sti, un giorno, ricevuto dal Poeta, per discutere de “I miserabi­li” e ricevendo negazione, dal suo interlocutore, circa dei significati  che  credeva di aver intui­to nel romanzo, gli gridò inferocito: “Hugo, voi non capite nulla di questo libro!”.

 

Le grandi tragedie dei personaggi dei suoi libri furono anche le stesse della sua vita. Un fratello gli morì in manicomio come successivamente avvenne per una delle sue figlie. La madre lo lasciò orfano a 19 anni (il 27 giugno 1821). La sua amata figlia Leopoldina morì giovanissima con il marito nell’affondamento di una nave e abbastanza prematuramente morirono anche i due figli maschi. Astrologicamente ciò si spiega con Mercurio, signore dell’ottava Casa, esiliato in quinta ed in cattivi aspetti.

 

Tantissimi, come già detto, furono i suoi riferimenti col segno zodiacale che non a caso rappresenta il malefico dodicesimo Settore dell’oroscopo; dai lutti  all’esilio, dalla pazzia dei familiari all’enorme voracità,  dalla fede grandissima in Dio (ma non nella Chiesa) al gusto per il titanico, in tutte le sue espressioni (“...le cose che Victor Hugo vede meglio e meglio dipinge sono le cose enormi, gigantesche, inumani, mostruose”). Chi non ha provato grandissime emozioni alla lettura delle mo­struosità della gigantesca piovra de “I lavoratori del mare” o del viso orribilmente trasfigurato di Gwynplaine ne “L’uomo che ride”? Dei Pesci, in lui, c’era anche molta della paranoia che spesso accompagna i nati in questi trenta gradi: tutti i suoi personaggi muoiono nei romanzi e devono continuamente difendersi da un mondo ostile, da un destino contrario, dalla ferocia della natura,  della società e della superstizione: i tre grandi mostri a cui dedicò la sua importante trilogia letteraria.

 

Egli fu anche disegnatore-pittore, politico, pari di Francia, drammaturgo e tante altre cose. Visse intensissimamente fino al 22 maggio 1885. Se ne andò a 83 anni. Negli ultimi mesi il suo cuore batteva ancora ardentemente e amò otto volte la sua ultima amante, una cameriera. Con la penna si era fermato prima: due anni addietro, lo stesso giorno in cui morì la sua adorata Juliette che condivise cinquant’anni di gioie e di dolori, in patria e nell’esilio. Victor Hugo ha vissuto, gran parte del suo secolo di cui è stato uno dei più grandiosi interpreti e la sua vulcanica libido gli fece dire, qualche tempo prima di morire: “La vita è troppo breve per concedere all’uomo di realizzare tutto ciò che concepisce”.

Ciro Discepolo

Tratto da ASTRA o da SIRIO di molti, molti anni fa

 

        

 

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