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Lisetta nel mio ricordo
di Maddalena Magliano


Vorrei ricordare Lisa iniziando dal nostro primo incontro, che per me è stato molto importante; più di quanto, forse, non lo sia stato per tanti miei colleghi che hanno cominciato con lei a studiare l'astrologia.

Io appresi i primi rudimenti di astrologia a dodici anni (l'età del primo ciclo di Giove). Mi trovavo all'epoca in un collegio della Svizzera tedesca, a Klosters. Il mio professore di scienze, per cercare di frenare la mia irrequietezza mi portava a cogliere genziane ed altra flora locale, fornendomi così i miei primi, ed ultimi, rudimenti di erboristeria - materia che non ho mai amato.

Dopo poco, andai in Germania per perfezionare il tedesco. Ad Offenbach, una piccola cittadina nei pressi di Francoforte, mi iscrissi ad un corso di astrologia in una specie di scuola per arti e mestieri sul modello della nostra RadioElettra. Ero attratta dall'astrologia forse perché, da buona Cancro quale sono, questa disciplina soddisfaceva la mia pigrizia evitandomi la fatica di sforzarmi di comprendere il carattere delle persone: con la loro semplice data di nascita riuscivo subito a capire com'erano fatte.

Ma la passione era autentica. Dato che a quei tempi non erano disponibili in italiano testi degni di nota, studiai e lessi tutto il possibile in inglese, tedesco e francese, sfruttando la padronanza di diverse lingue che mi aveva fornito la scuola svizzera.

Dopo aver fatto un po' di pratica su amici e conoscenti trovai nell'astrologia un validissimo alleato nei primissimi anni '70, quando avevo a Milano una galleria di arte d'avanguardia.

Era il periodo del 'concettuale' (Arte Povera, Body Art ecc.), arte molto difficile da giudicare. Solo l'astrologia mi consentiva di vedere se nelle persone che mi si presentavano ardeva il 'sacro fuoco dell'arte' o se erano solo un bluff. Debbo dire che non ho sbagliato le mie scelte. Ho presentato quelle che allora sembravano giovani promesse italiane appena più che ventenni quali Boetti, Fabro, Paolini, Mattiaci ecc. e che sono ora, tutti, affermatissimi artisti. Tuttavia l'astrologia, così come l'avevo studiata e come la praticavo, non mi dava tutte le risposte che andavo cercando: in alcuni momenti la trovavo poco logica, abbastanza empirica.

Un giorno, mentre giravo tra le librerie in cerca di testi d'arte m'imbattei per caso - ma, dice Anatole France, "il caso è lo pseudonimo di Dio quando vuol conservare l'anonimato" - nell'"Introduzione all'astrologia" di Lisa. Già mentre la sfogliavo davanti al banchetto e ne leggevo qualche brano, fui colta da una sorta di sindrome di Stendhal: mi sentivo come presa da una specie di capogiro, da quel senso di svenimento che, a quanto sembra, può essere indotto dall'emozione suscitata da un'opera sublime.

Comprai il libro e corsi a casa. Quasi in un delirio di emozioni lo lessi tutto d'un fiato. Vedevo come formarsi sotto i miei occhi quello che effettivamente l'astrologia è, e di cui avevo il presentimento: uno straordinario mosaico i cui tasselli si incastrano alla perfezione, ma che solo Lisa mi seppe svelare in tutta la sua magnitudine grazie al gran numero di tessere mancanti che con quel libro mi regalava.

Avevo veramente la testa che volava.

In uno slancio d'entusiasmo presi il telefono e lasciai un messaggio di questo tipo: "cara dottoressa ho letto il suo libro. Sono estasiata dalla sua genialit༠io potrei lavarle i vetri ed ascoltarla parlare..." lasciando poi seguire tutti i miei dati personali.

Non appena posato il ricevitore, fui presa da un fortissimo stato d'ansia dovuto alla consapevolezza che il mio comportamento era, di fatto, una mancanza di rispetto nei confronti della privacy di una signora. Avevo contravvenuto alle più elementari regole di rispetto del prossimo che i miei genitori mi avevano attentamente inculcato.

Dopo non molto ricevetti una telefonata.

"Carissima!" - una voce esclamò dall'altro capo del filo, come poi avrebbe fatto per più di vent'anni - "Ho avuto il suo messaggio, per la moquette cosa facciamo?!".

Ho sempre adorato l'ironia e il sarcasmo di cui Lisa è sempre stata dotata. Ma in quell'istante avrei voluto sprofondare per la vergogna. Riuscii a farmi coraggio e a continuare la comunicazione. Fu il colpo di fulmine di un amore che, non posso negarlo, è stato spesso sofferto, ma anche pieno di risate e complicità.

Costituimmo da subito e su tutti i fronti quello che nel linguaggio attuale chiamiamo team work. Lei - ricercatore - indagava, intuiva, scopriva. Io - medico U.s.l. -, facevo il marciapiede sperimentando sui pazienti le sue scoperte e comunicandole i risultati.

Lei, cuoca straordinaria. Io, buona forchetta!

'Condivamo' le nostre cenette con allegri 'pettegolezzi' astrologici che spaziavano per tutti i campi: letteratura, sport, politica. Ci accomunava perfino la passione per Dinasty. Lei registrava le puntate della soap opera dalla sua casa in Svizzera, dove era trasmessa senza interruzioni pubblicitarie da "Antenne 2". Non appena aveva riempito una cassetta di 240 minuti (tre puntate!) la guardavamo insieme, riuscendo a restare anche interi pomeriggi incollate a "Dinasty" commentando astrologicamente e cercando di prevedere come sarebbe andata a finire. E lei mi stupiva, sempre, per l'acutezza e l'arguzia dei suoi commenti. Intanto mangiavamo delle gourmandises che la sua agente letteraria, Carmen Balsez, di Barcellona, ogni tanto le inviava. I nostri pomeriggi erano un trionfo di gourmandises accompagnate da patè e squisiti prosciutti esteri.

Spina nel fianco del nostro rapporto, alla quale alla fine Lisa si era rassegnata, fu il mio rifiuto di partecipare ai congressi di astrologia in veste di relatore. Ma per farmi perdonare, in compenso, mi attivavo in qualità di curatrice dell'organizzazione facendo da ufficio stampa, da segretaria, prenotando il ristorante, fotocopiando il materiale necessario ed altro.

Gli anni sono volati.

Ad ottobre del '96 Lisa trasloca e viene ad abitare nelle vicinanze di casa mia. Sembrava un po' un segno del destino. La nostra amicizia conobbe allora un periodo molto felice. La vicinanza diede al nostro rapporto dimensione quasi filiale. Le compravo il giornale, le facevo la spesa e spesso ci capitava di fare commissioni insieme. Ma il sogno si spezzò a metà maggio del '97. Una mattina, lei era da poco tornata da Barcellona, dove era stata per mille nuovi progetti di lavoro dalla sua agente, andai a casa sua per prendere la nota della spesa. Ma mi sentì rispondere "non posso fartela, non riesco a scrivere". In breve tempo, la diagnosi senz'appello.

Con Giorgio ed Anna, i suoi figli, dopo un primo momento di smarrimento decidemmo di fare scudo e di non lasciarle trapelare minimamente la verità. Ma ci illudevamo soltanto se credevamo di poter mentire ad una donna del suo intuito e della sua intelligenza.

Per un po' di tempo ci andò bene. Per quanto lei fosse già costretta a letto noi le rispondevamo che non doveva temere nulla, ma che la cura sarebbe stata lunga.

Avevamo collocato in soggiorno il suo letto perché non si sentisse emarginata dalla vita, come sarebbe accaduto se fosse rimasta in camera da letto, ed i nostri pomeriggi continuavano con le nostre divagazioni e riflessioni sul delitto Versace prima, poi su Bossi, Berlusconi, fino al rapimento Soffiantini ed ai campionati di sci, di cui lei era appassionata.

Un giorno mi disse: "è giusto che tu sappia; da questo letto non uscirò ". Aveva perfettamente intuito qual era il suo destino. Non scese nei dettagli. Non se ne parlò più, ma la verità è rimasta come il convitato di pietra sempre presente, tra noi, ad ogni nostro incontro.

Mi ha insegnato qualcosa anche nei suoi ultimi giorni. Innanzitutto, con una grande lezione di dignità. Un giorno, mentre le accendevo una sigaretta - tenace fumatrice fino all'ultimo - io, ben poco dignitosamente con un po' di lacrime agli occhi: "beh, Lisa, mi mancheranno le nostre chiacchierate!". Lei mi prese la mano, cosa che faceva molto raramente con chiunque, e col suo sorriso un po' sornione ed enigmatico mi disse: "chiacchiereremo, chiacchiereremo¼ ". Come in un sospiro le chiesi: "ma tu ci credi?". Non rispose. In tanti anni non avevamo mai parlato dell'aldilà, argomento riguardo al quale lei si era sempre dimostrata molto distaccata, anche un po' ironica, perché le sembravano discorsi che segnalavano 'debolezze' che non amava. Le dissi: "allora ti aspetto sul divano in sala?".

"Eh, insieme con Chico" mi rispose. Chico è il mio gatto, uno straordinario persiano rosso. Non appena Lisa entrava in casa mia le gironzolava intorno aspettando che si sedesse sul divano per sdraiarsi alle sue spalle.

Quando, per puro caso, il figlio trovò la poesia che allego, leggendone l'ultima frase - "Ora, nella casa deserta/ quel lieve rumore che sento/ quell'ombra leggera/ (¼ ) non sono una sorpresa. Ti aspettavo/ compagna/ di un lunghissimo strazio" - pensai immediatamente "caspita Lisa, allora davvero ci credi! Io e Chico ti aspettiamo¼ "

Accompagnano la poesia dei racconti in rima grondanti il suo trucibaldo Giove in Scorpione, scritti quando i suoi figli erano bambini: è la sua Luna in Cancro che salta sempre fuori¼

Ora sei là, Lisetta, tra le tue amate stelle. Le puoi vedere da vicino e puoi scoprire finalmente quanti Zodiaci ci sono. Spero lo farai sapere a quelli che ti hanno seguito in questo meraviglioso volo intellettuale nel quale, ahimè!, io ho sempre soltanto arrancato...

Ma, a me, lo faresti sapere chi ha fatto fuori Versace?

 

Maddalena Magliano

 

 

Le avventure di Accaparratati

1ª puntata: "Il pirata Monaglosso".

Il pirata Monaglosso va gridando

a più non posso

"Or che sono in alto mare

vò una nave catturare

Non importa che sia inglese,

russa turca o portoghese.

Ma la voglio con brillanti

e monete ben sonanti".

Il gabbiere di trinchetto

grida: "Caspita e cospetto,

una nave si avvicina,

con bandiera della Cina".

"Preparatemi i cannoni,

le spingarde e i bombardoni"

grida tosto Monaglosso

"E sparate a più non posso".

Pim, pùm, pam, come farfalle

su nel ciel volan le palle,

i Cinesi vanno arrosto,

e si arrendono ben tosto.

Avviliti e spaventati

nella stiva li ha gettati

il tremendo Monaglosso

e i forzieri ora ha vuotati

dalla merce sopraffina

che veniva dalla Cina.

Ma il buon Accaparatati

il nemico dei pirati,

si avvicina di soppiatto

pilotando come un matto.

Egli ha visto la bandiera

tutta quanta nera nera

con le ossa ricamate

e l'ha presa a cannonate.

Monaglosso sghignazzando

spara anch'egli di rimando.

Ha la pelle molto dura,

delle bombe non si cura.

Ma i pirati spaventati,

tutti in mar si son gettati.

Han paura, disgraziati,

del buon Accaparratati.

"Dove andate, sciagurati?"

grida allora Monaglosso.

Dalla rabbia si è strappati

quattro peli della barba

tre capelli e (Ahi Monaglosso)

si strappò persino un osso.

Ma il buon Accaparratati

sulla nave ha un bell'indiano

svelto assai d'occhio e di mano.

Ei nell'arco ha preparata

una freccia avvelenata

e poi mira piano piano

Monaglosso al deretano.

Ahi! La freccia è giunta a segno,

e non ha colpito un legno.

Monaglosso disperato

giù per terra è già cascato.

Giallo rosso e blu diventa,

e la vita in lui si è spenta.

I Cinesi sorridenti,

liberati e arcicontenti,

vanno incontro al salvatore

e lo chiamano signore.

Poi riparton per la Cina

con la merce sopraffina.

E il buon Accaparratati

va a cacciare altri pirati.

 

2ª puntata: "Il pirata Gambasecca".

Il pirata Gambasecca

sta mangiando una bistecca

e vi affonda i suoi dentacci

lunghi come coltellacci.

L'ode intanto un gran frastuono

che assomiglia molto al tuono.

"Che succede, cambusiere?

Corri subito a vedere".

Il brav'uomo, detto Veleno

salta via come un baleno

in coperta mette il piede

per veder quel che succede.

"Una bomba ecco è caduta,

la nave par perduta".

Il pirata Gambasecca

pianta lì la sua bistecca

va in coperta difilato

ad urlar come un dannato.

"Casa fate, poffarbacco?

Io vi chiudo dentro un sacco,

vi sbatacchio, vi macello

vi fracasso col martello!".

I pirati spaventati

sul cannon si son piazzati.

Ecco là, bandiera al vento,

il buon Accaparratati.

A vedere quella bandiera,

gialla rossa verde e nera

Gambasecca si sgomenta

tutto verde già diventa.

"Timoniere, barra a destra,

o ti lego a una balestra

e ti ficco nella pancia

sei centimetri di lancia.

Cannonieri, su, sparate!

E alla mira ben badate.

Or dobbiam far prigionieri

quei dannati masnadieri".

Ma il buon Accaparratati

il nemico dei pirati,

ha una mente astuta assai,

non si mette mai nei guai.

Sul pirata Gambasecca

vuole far grande vendetta.

"Pronti tutti all'abbordaggio

non perdete mai il coraggio.

Continuate a guerreggiare

anche se cadete in mare.

Spade in man, pugnali in bocca:

attenzion, sotto a chi tocca".

Incomincia la battaglia

con rumore di ferraglia

i pirati scatenati

sembran tanti indemoniati

tutt'attorno il mar ribolle

volan anche le cipolle

perché il cuoco là in cucina

vuole far carneficina.

Il buon Accaparratati

si fa largo tra i pirati

vuole fare prigioniero

Gambasecca il pistolero.

Si avvicina di soppiatto

pugnalando come un matto

giunge dietro al gran pirata

che sta presso alla murata

con un colpo ben piazzato

ecco in mare l'ha gettato.

I pirati assai sgomenti

si son resi immantinenti.

Ora la nave è catturata

della merce l'han vuotata

e il buon Accaparratati

va a far guerra

ad altri pirati.

 

3ª puntata: "Il pirata Venceslao".

Il pirata Venceslao

si è alleato coi Mao Mao

i terribili predoni

delle isole Verdoni.

I Mao Mao sono feroci:

da bambini, assai precoci,

strappan l'ali alle farfalle

e ne fanno delle palle.

Quando poi sono cresciuti

grandi grossi e nerboruti

scaglian frecce dardi e sassi

come tanti satanassi.

Venceslao il grande pirata

dalla barba impomatata

al buon Accaparratati

vuole tender degli agguati.

In un'isola appartata

una villa ha preparata

assai bella ed accogliente

e vi invita molta gente

tutta quanta ben vestita

profumata e ripulita.

Ma attenzion! Questi invitati

sotto sotto son pirati

nel bel mezzo della festa

estrarran, con man lesta

i terribili pugnali

e altre armi micidiali

per uccider, sciagurati

il buon Accaparratati.

I terribili predoni

delle isole Verdoni

son già preparati

a soccorrere i pirati.

 

Scritta da Lisa Morpurgo per i suoi bambini

 

 

Dolly

 

10 agosto 1976

Credo che tu lo sapessi

anzi ne sono sicura (the cat himself knows)

pensavamo assieme le stesse cose

da tanto tempo e mi facevi capire

la tua noia di vivere,

duro è all'orgoglio felino

l'artiglio inerte,

lo sguardo velato dalla cecità.

Sempre

ricorderò l'ultima notte

e il temporale, la pioggia

scrosciante sul giardino vuoto

d'agosto

(accoccolata nell'incavo del mio ginocchio

dormivi il tormentato sonno della vecchiaia)

mi colse all'alba l'amaro

sapore della tua morte.

Eppure compivi gesti consueti

come se nulla fosse,

forse per consolarmi,

passi cauti e dolenti

verso l'ultima tazza di latte.

"Vieni" ti dissi, ed eri

sul balcone per l'ultima volta

al sole.

Mi seguivi quieta (sublime

dignità dei gatti) la città

ignoravi attorno a noi,

lo squallido studio del veterinario.

Amico ti fu Marte

nel supremo istante,

a me nemico:

un solo urlo feroce

e poi spiravi

con un rapido fremito

dei baffi.

Ora, nella casa deserta,

quel lieve rumore che sento,

quell'ombra leggera

nel vano della finestra

(she likes the warm and sunny spots)

non sono una sorpresa. Ti aspettavo,

compagna

di un lunghissimo strazio.

 

Lisa Morpurgo

 Pubblicato sul numero 35 di Ricerca ’90



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