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Poche considerazioni sulla "Pubblicità"
di Ciro Discepolo


La rivoluzione informatica/telematica conseguente alla nascita e allo sviluppo di Internet ha certamente sovvertito alcune regole fondamentali del comportamento sociale. E non mi riferisco soltanto a quelle che dovrebbero amministrare lo svolgimento di singole professioni come il giornalismo. Per esempio, fino a qualche anno fa, veniva fatto divieto assoluto a un giornalista di collaborare contemporaneamente a due quotidiani differenti o a due settimanali differenti (mentre era considerato lecito, al limite, a esempio, scrivere per Repubblica e per Panorama contemporaneamente). Oggi assistiamo al fatto che giornalisti di Mediaset  collaborano a trasmissioni della RAI e viceversa oppure all’altra realtà che vede persone pubblicare su testate cartacee quanto hanno già pubblicato in rete, cosa inammissibile, ripeto, fino a poco tempo fa. Dunque è in atto un rovesciamento generale di regole anche deontologiche che però non può farci credere che tutte le regole della logica si possano sopraffare tranquillamente.

Alle scuole superiori ci hanno insegnato che il valore di un bene è inversamente proporzionale alla sua disponibilità e, dunque, siamo stati educati credendo che se un amico ci prestava un suo libro o ci faceva leggere uno scritto raro, noi dovevamo essergli grati per ciò. Oggi, secondo molti, anche questo non varrebbe più.

È il caso di quanto viene messo in rete, da vari autori, e della diffusione della notizia di ciò da parte dell’autore stesso. Se Tizio scrive degli articoli che per migliaia di persone si possono considerare preziosi, o semplicemente appetibili, e li mette in rete, dandone dovuta notizia a tutti, è facile leggere, di lì a poco, la critica di qualcuno: Tizio si è fatto pubblicità. Non importa se costui ha speso giornate del suo tempo o anni del suo lavoro (in caso di ricerche statistiche complesse) e ha donato ciò a tutti; non importa se egli offre un proprio libro in omaggio (scaricabile da Internet) a chiunque: il giudizio è sempre lo stesso e negativo, “pubblicità”.

Dall’altra parte, invece, il navigatore della rete (ma ciò non vale per tutti) ritiene di essere un piccolo sovrano assoluto che benevolmente assiste all’offerta dei doni da parte dei suoi sudditi e, con un gesto del pollice rivolto in alto o in basso, decide se l’offerta è da prendere o da gettare alle ortiche. Naturalmente lui la potrà “saccheggiare” nel modo che ritiene più giusto: leggendola semplicemente o anche appropriandosene – e magari facendola passare come propria – nella certezza quasi assoluta di una impunità che gli verrebbe garantita dall’attuale situazione in rete omologabile, per tanti versi, a quella del Far West di molti film già visti.

Come si può constatare le parti sono state invertite e chi dona è un mascalzone mentre chi sfrutta, o addirittura ruba, è un galantuomo.

Ora, passi che qualcuno dotato di poco senso critico e di scarsa intelligenza possa pensare in tal modo, ma non è accettabile che una linea di principio del genere possa essere acquisita come giusta nella famiglia degl’internettiani.

Per quanto mi riguarda, pur imbattendomi, spesso, in una visione della vita tanto distorta, continuerò a postare dei messaggi in cui ci saranno notizie utili per migliaia di persone che me le chiedono, notizie come la pubblicazione, sulle mie pagine Web, gratuita e per tutti, di studi dietro i quali ci sono giorni, settimane o mesi e anni di lavoro. O anche la notizia di una mia conferenza, sempre gratuita, che tante persone attendono e non si vede per quale motivo non dovrei diffondere.

Visto che stiamo affrontando l’argomento, vorrei precisare qualcos’altro. Di solito i miei libri non vengono recensiti da molti colleghi, per motivi che è facile comprendere, oppure – se lo sono – ricevono una recensione negativa. Potrei provare, con tanto di testimoni, che in alcune associazioni si fa addirittura divieto, ai propri iscritti, di acquistare i miei libri. La cosa non mi preoccupa e vi racconto un breve episodio che vi spiega il perché.

Quando pubblicai, per la prima volta (1979), la mia Guida all’astrologia, Armenia editore, essa arrivò in libreria e – naturalmente - in quel caso – non ebbe alcuna recensione istantanea. Dopo una settimana dalla sua comparsa in libreria l’Editore mi telefonò annunciandomi che il libro stava “andando benino” e che, se avesse proseguito allo stesso modo, probabilmente dopo un anno lui lo avrebbe ristampato. Una settimana dopo mi telefonò annunciandomi che il libro era in ristampa.

Generalmente pubblico due tipi di libri: quelli che possono interessare un vasto pubblico e altri per superspecialisti. Nel secondo caso, talvolta, mi assumo il carico del costo totale della pubblicazione e destino i ricavati all’Unicef di cui sono ammiratore e sostenitore.

Quelli destinati a un più vasto pubblico, vanno generalmente benissimo e, nonostante non ricevano recensioni, esauriscono quasi tutti la tiratura in breve tempo.

Ora, se io fossi interessato a farmi pubblicità, penso che accetterei di collaborare a riviste nazionali, a rotocalchi femminili a grande diffusione, a spettacoli televisivi e alla redazione di lucrosi libretti annuali con le previsioni segnosolari. Non avendo scheletri nell’armadio, tutti possono constatare che non mi sono mai comportato in tal senso.

Dunque, vorrei raccomandare ad alcuni compagni di navigazione di ricordarsi sempre di accendere il cervello prima di parlare o di scrivere.

 



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